HOME

CHI SIAMO


TAG PRINCIPALI

#ATTUALITA

#ECONOMIA

#INTERNAZIONALE

#AMBIENTE

#TECNOLOGIA

Incubo delle fast fashion

Un vantaggio economico: ma a che prezzo?

27.10.2020
60"
di Francesca Beltrame

Con il termine fast fashion, o moda veloce, ci si riferisce alla tipologia di commercio dei vestiti esploso negli ultimi vent’anni. La parola "veloce" indica la rapidità con cui i rivenditori spostano i modelli dalle passerelle ai negozi, tenendo il passo con la domanda costante di stili in continuo cambiamento.

Tale sistema produttivo si basa sulle tendenze temporanee e di breve durata, infatti porta la massa a desiderare di sostituire continuamente quello che si è comprato anche solo pochi mesi prima perché risulta già vecchio e dismesso. Il mercato tessile ha subito grandi modifiche, è diventato conveniente ed economico; tali premesse hanno portato ad una svalutazione dei capi e ad un aumento dei consumi (la quantità di abbigliamento prodotta oggi dai marchi di moda risulta quasi il doppio del rispetto a prima del 2000) e di conseguenza ad una riduzione significativa della qualità: i prezzi vengono mantenuti bassi grazie a salari minimi, a pessime condizioni di lavoro e a costi ambientali e sociali. La produzione delle materie prime avviene quasi esclusivamente in paesi in via di sviluppo e del terzo mondo (Bangladesh, India, Cambogia, Cina, Etiopia, etc). Circa il 90% dell'abbigliamento venduto negli Stati Uniti è composto da poliestere (derivato dal petrolio) e cotone (di origine vegetale); quest’ultimo richiede ingenti quantità di acqua e l’uso di pesticidi, che danneggiano la biodiversità della zona e la salute dei coltivatori. Esempio di chi paga con la vita il vero costo dei nostri vestiti è Shima Akther: “Le persone non hanno idea di quanto sia difficile per noi fare i vestiti, loro pensano solo a comprarli e a indossarli”. Operaia tessile di 23 anni trasferitasi a Dacca (Bangladesh) a 12 per lavorare, il suo salario non arriva a tre dollari al giorno e la sua giornata, costipata fra caldo e sostanze chimiche pericolose, prevede ritmi ossessivi che le impediscono di mantenere una famiglia. La produzione di fili e tessuti, nonché la rifinitura, la tintura e la stampa rilasciano notevoli quantità di insetticidi e le sostanze tossiche di scarto, fra cui metalli pesanti, per contenere i costi di produzione vengono rilasciate nei fiumi, dai quali la gente attinge per uso alimentare e agricolo.

In particolare, a Kampur Town (India), lungo il Gange le acque sono fortemente inquinate da cromo per le numerose fabbriche di cuoio low cost presenti nel luogo; tale condizione ha portato negli ultimi anni ad un incremento delle patologie dermatologiche negli abitanti della zona. Nel corso di tutta la filiera di produzione di abbigliamento c’è anche emissione di gas serra e CO2, dovuta all’utilizzo di macchinari agricoli o industriali. Lo smaltimento raramente è sinonimo di riciclo (15% appena) e la produzione di vestiti supera di gran lunga la richiesta. È pratica frequente, soprattutto da parte di marchi di lusso, per evitare che i capi si svalutino e siano venduti in mercatini di seconda mano, che le grandi quantità di rifiuti tessili vengano buttate in discarica, incenerite oppure esportate nei paesi in via di sviluppo. L'impatto del settore della moda ammonta a oltre 92 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti all'anno e a un consumo di 79 trilioni di litri di acqua.

FONTI:

video raiplay
nature.com
journal biomedcentral
greenpeace

TAG

ARTICOLI CORRELATI




CONDIVIDI