L’avvento dell’inglese nella lingua italiana
di Elena BellacosaPerché ci ostiamo a pronunciare termini che non sono propri della nostra lingua? La risposta non è affatto agevole, in questo piccolo scritto si cercherà di analizzare il fenomeno, seppur non analiticamente, nella speranza di offrire qualche proficua suggestione. In questi ultimi anni si è registrata l’insorgenza di una tendenza che sta mutando rapidamente il modo con cui noi italiani comunichiamo. Si tratta dell’itanglese, ossia la lingua italiana usata in certi contesti e ambienti, caratterizzata da un ricorso frequente e arbitrario a termini e locuzioni inglesi. Questo fenomeno linguistico che coinvolgeva, fino a qualche anno fa, solo specifici settori, come l’informatica o la finanza, ora si è diramato ovunque, si pensi al mondo del lavoro, il quale si è totalmente anglicizzato, con tanto di termini roboanti nella forma, ma nella sostanza vuoti, garantendo un travisamento nella comprensione degli stessi. Come è evidente, questo utilizzo pedissequo dell’inglese, si deve alla sudditanza economica e culturale al modello angloamericano, che affascina maggiormente i più giovani, volubili innanzi a certi modelli e desiderosi di assomigliar loro. Interessante notare che l’abuso degli anglicismi, che non ha eguali nelle altre lingue europee, comporta la rinuncia alla creazione di nuove parole in italiano e, dato per assodato che la lingua è viva, ha bisogno di crescere, di adeguarsi ai tempi e perciò mutare. Sono circa 3500 gli anglicismi entrati a far parte della lingua italiana, anche nel parlato informale. Questa mania potrebbe essere apparentemente non grave, un po' provinciale forse, se non fosse che, quando si tratta di parlare o scrivere davvero si compiono degli errori grossolani. Basti pensare che, la popolazione italiana si attesta agli ultimi posti in Europa per conoscenza strutturata dell’inglese. Sicuramente degna di nota è un’iniziativa posta in essere dall’Accademia della Crusca, denominata “Incipit”, a cui hanno preso parte diversi linguisti e intellettuali, impegnati a esaminare i neologismi “incipienti”, per poi individuare un’alternativa in lingua italiana. Frutto di questa attività, ad esempio, è la traduzione di “Hot spot” in “centri di identificazione” oppure “lavoro agile” che sta per la più nota espressione (ahinoi) “smart working”. Ad ogni modo, si tratta di una tendenza tutta strana, a quanto pare piace di più chiamare il proprio capo boss, siglare un contratto all inclusive, timbrare il badge, andare a un meeting con un outfit cool. Coloro che si oppongono a questa tendenza sono anacronistici? Fonti: |
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