Massacri, migrazioni e lotta per i diritti umani
di Nicolò MiottoUn popolo senza StatoSecondo le Nazioni Unite, sono una delle popolazioni più perseguitate al mondo. I Rohingya contano circa un milione e mezzo di persone, parlano il Rohingya, una lingua indo-aria, e sono prevalentemente musulmani sunniti. Per molti anni il Myanmar (Birmania) ha ospitato la maggior parte dei Rohingya che, secondo la legge birmana (1982) in materia, non godono dei diritti di cittadinanza. Perseguitati duramente sin dagli anni ’70 dalla maggioritaria componente buddista, sono stati protagonisti di insurrezioni e massacri nel Rakhine, lo stato della Birmania dove risiedono in maggior numero. La crisi dei rifugiati del 2015Dopo le sommosse del 2012 che vedono contrapposti i buddisti e i Rohingya nel Rakhine, nel 2015 scoppia una crisi umanitaria. I media internazionali parlano di “boat people” perché molti Rohingya fuggono dalle violenze verso gli Stati vicini su imbarcazioni di fortuna. I dati non sono certi perché molti hanno trovato rifugio in campi profughi nel Bangladesh, dove, nel 2015, si ha notizia di 300 000 Rohingya non registrati. Nello stesso anno i ricercatori della International State Crime Initiative sostengono che il governo del Myanmar è in procinto di attuare un genocidio nei confronti della minoranza musulmana. La crisi del 2016-2017Il 2016 è un anno tragico. L’esercito e la polizia birmani colpiscono i musulmani del Rakhine, portando 700 000 Rohingya a fuggire, prevalentemente, verso il Bangladesh. Le Nazioni Unite, diverse ONG, la Corte Penale Internazionale e diversi Stati, tra cui gli Usa, accusano il governo birmano di pulizia etnica e genocidio. Il Cancelliere di Stato Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace (1991), respinge le accuse e difende le forze birmane. Dei circa 1,3 milioni di Rohingya birmani ne rimangono 400 000. Tutti gli altri fuggono nei paesi vicini; in Bangladesh sono più di 700 000. Il Gambia in difesa dei RohingyaNon solo le Nazioni Unite, anche molti Stati hanno preso le difese del “popolo senza Stato”. Un piccolo paese africano, il Gambia, la cui maggioranza è musulmana sunnita, conduce una strenua battaglia per i diritti dei Rohingya. Nel 2019 chiede alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) di pronunciarsi sul caso, paragonando la situazione al genocidio in Rwanda (1994). Nel gennaio 2020 il paese africano vince e la CIG si esprime a favore delle accuse da esso sollevate. La decisione della Corte non è però vincolante e solo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU potrebbe davvero giocare un ruolo decisivo. |
TAG |
||
ARTICOLI CORRELATI |
|||
CONDIVIDI |