La legge obbliga le SPA a garantire la rappresentanza di genere negli organi sociali
di Alessandra BernardisAumenta la rappresentanza di genere nei CdALa “quota rosa” nei Cda delle società con azioni quotate e controllate dalla pubblica amministrazione aumenta dal 30 al 40%. Lo scorso dicembre l’emendamento ha avuto il via libera della commissione bilancio del Senato e un riscontro positivo da tutte le parti politiche. “Se l’obiettivo è raggiungere la parità, è giusto avere un traguardo più ambizioso’’, commenta la senatrice Donatella Conzatti di Italia Viva, ‘’grazie a un appoggio trasversale abbiamo raggiunto l’obiettivo. L’emendamento ha una duplice finalità: parità di genere e migliori performance’’. Cosa dice la leggeNel 2011 è entrata in vigore la legge bipartisan (120/2011) che prevede la parità di accesso all’interno degli organi delle società. Dal 2015 queste sono obbligate a riservare almeno 1/3 dei posti disponibili in consiglio di amministrazione e nel collegio sindacale al genere meno rappresentato, tipicamente quello femminile. Dallo scorso dicembre si è deciso di alzare al 40% la quota di rappresentanza. Le opinioni contrastantiSe l’obiettivo sembra essere il maggiore sviluppo economico, è chiaro che a spingere il legislatore è la volontà di ridurre il divario di genere ai vertici delle società. Non sono mancate le critiche alla riforma. Si sostiene che agendo in questi termini la discriminazione sia ancora più evidente. Scegliendo il Cda basandosi sul genere e non sulle competenze il rischio pare fondato. Qualche dato sulla riformaI dati presentati dal Sole 24 Ore ci mostrano che dal 2011 il numero di donne presenti nei board è aumentato fino a raggiungere il 36%. Il risultato è stato raggiunto rendendo obbligatoria la rappresentanza nei Cda e introducendo forti sanzioni per chi viola la legge. Si può considerare una vittoria? O l’obbligo limita la libertà e l’efficienza delle imprese? Dicci cosa ne pensi nei commenti. |
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